Lo guardavo come se fosse una magica bacchetta dei desideri. E non lo era. Però da bambino guardavo il borsellino di mia madre come un simbolo del potere generoso, seppure pieno di no. Poi, si sa, il tempo passa e le letture cambiano. E’ il vantaggio e il limite d’essere adulto.
Sullo scaffale della Storia sono riposte le due stragi del ’92, Capaci e via D’Amelio. Dopo la prima, Borsellino annunciò che sarebbe toccato a lui. E le due stragi sono evidentemente connesse. Alcuni noti elementi in comune sono: la nascita della Direzione Nazionale Antimafia da affidare a Giovanni Falcone (o, come sarebbe avvenuto, al suo naturale subentrante), l’inchiesta delicatissima e riservatissima (per modo di dire) su mafia e appalti.
In Italia si viveva Tangentopoli, il tempo dello smantellamento dei vecchi poteri e ciò avveniva, la storia ce lo conferma, con pochi scrupoli procedurali, cioè con poco rispetto delle regole proprie di uno Stato di diritto. E se ci chiediamo se un Falcone o un Borsellino avrebbero acconsentito a lasciar fare strame delle regole, ci rispondiamo di no. Ci rispondiamo che, se uno dei due si fosse trovato a dirigere la DNA, il tintinnio di manette e le sbiancature dei visi avrebbero incontrato il severo richiamo all’osservanza neutra dei codici penali. Richiamo da parte della DNA. Sappiamo che non è andata così.
Sulla morte di Falcone e di Borsellino s’è indagato su alcuni fronti. Non abbiamo notizie, invece, se anche il fronte della possibile esistenza di un Grande Vecchio, burattinaio di Tangentopoli, sia stato preso in considerazione. Ovviamente possiamo soltanto affermare che se la vita dei due magistrati siciliani avrebbe impedito quello svolgimento di Tangentopoli, la loro morte lo rese possibile. C’è un nesso? Chi può dirlo? C’è una conseguenza? Questo è sicuro.
Il dossier su mafia e appalti era la corposa raccolta di spunti di indagini sui rapporti tra politica, imprenditoria e mafia su cui prima Falcone e poi Borsellino nutrivano il massimo interesse. Circa mille pagine di fatti e, soprattutto, di nomi. Certo, sarebbero occorse indagini lunghe e, visto l’interesse dei due eroi civili, probabilmente devastanti. Non erano nuovi ad operazioni sui grandi numeri e il primo maxiprocesso ne era la conferma.
Quel dossier fu archiviato. Il giorno dopo la morte di Paolo Borsellino.
In questi ultimi anni, per certi versi “creativi”, abbiamo assistito allo scompaginamento processuale della strage di via D’Amelio. E ne è scaturita la necessità di consegnare all’Italia un’altra conclusione. Oggi rimbalza anche da fonti autorevoli l’idea, quasi la certezza ideale, non processuale, che Paolo Borsellino sia stato ucciso per impedirgli di ostacolare la “trattativa” tra Stato e mafia.
Recuperati i miei occhi di bambino, vedo il borsellino di mia madre. Vedo questo strumento magico capace, secondo me bambino, di risolvere qualsiasi mio sogno. E non lo era. Così la “trattativa”. Infatti, se dobbiamo dare credito a Paolo Borsellino che annunziava che dopo Falcone sarebbe toccata a lui e se, quindi, dobbiamo credere collegate le due stragi, non possiamo far finta di dimenticare che l’”attentatuni” di Capaci avvenne in un tempo in cui di “trattativa” non c’era l’ombra. E Falcone non morì per caso. Come Borsellino non morì per un recentissimo nuovo scenario. Sul banco delle soluzioni giudiziarie, la spesa non può esser fatta con le magie di un borsellino dell’infanzia.













