Quello scienziato canuto e dalla voce roca al microfono di palazzo Steri a Palermo, nella magnifica sala delle Capriate, illustra dati tecnici e parla senza boria, pur avendo svelato due grandi misteri italiani, due disastri dell’aviazione civile. Prima il caso Ustica, poi il caso Mattei. A 50 anni esatti dalla morte del presidente dell’Eni, il professor Donato Firrao, esperto internazionale di metalli del Politecnico di Torino, perito dal 1995 della procura di Pavia che ha riaperto l’inchiesta, spiega in poche battute come è riuscito a provare che fu una bomba a far precipitare l’aereo decollato dall’aeroporto Fontanarossa di Catania e diretto a Milano, dove mai arrivè. Non il semplice incidente sventolato per anni a depistare e coprire l’attentato. Un’altra strage di Stato dunque raccontata a un auditorio composto in gran parte da studenti e professori della facoltà di Ingegneria che ha promosso il seminario.
La mano di Mattei staccata (dall’esplosione), una vite dell’aereo e un anello. Sono i tre elementi principali su cui verte la perizia. La dinamica dell’arto mozzato è spiegata solo con la deflagrazione, “tracce di micro germinati meccanici rinvenute sui due elementi di acciaio dopo quattro mesi in laboratorio – afferma il professor Firrao – provano che c’era una bomba a bordo”. Ma dov’era stata piazzata e qual era la carica? L’ordigno era stato collocato dall’esterno, presumibilmentev a Catania, dietro il cruscotto nella zona anteriore del velivolo. Lo confermano, spiega lo scienziato, le tracce di ustione sui tre corpi di Mattei, del pilota Imenio Bertuzzi e del giornalista americano William Mc Hale, salito a bordo all’ultimo minuto, come ricostruito magistralmente e in pochi fotogrammi altamenti emotivi nel film di Francesco Rosi, protagonista il grande Gian Maria Volontè. Fu mano sapiente a collocare la bomba, aggiunge il professore, perché collegata al comando del carrello d’atterraggio, comando disgiunto, e l’attentorre ne era consapevole, da quello di chiusura al decollo.
Quella strage, soprattutto la morte di Mattei, manager di Stato che faceva gli interessi dello Stato contro tutti, provoca una lunga scia di morti. Muore sette anni dopo il motorista del pilota a seguito del quasi certo sabotaggio del suo aereo, muore pure qualche anno dopo, sempre in disastro aereo, l’estensore della perizia che orientava verso il sabotaggio. Muore, aggiungo io, il giornalista Mauro De Mauro, che collaborava in quei giorni con Rosi nella preparazione del film e che avrebbe scoperto qualcosa di sensazionale.
Ma chi voleva morto Mattei e perché tanti depistaggi per allontanare la verità sulla fine di un manager fuori dalle regole del sistema? Lo scienziato per anni si è occupato del caso e non dribbla la domanda: “Si è detto delle sette sorelle (il trust delle grandi compagnie petrolifere, ndr), cui aveva fatto tutto il male che poteva fare risponde Firrao – ma nella politica aziendale non è presente la voce vendetta. L’Oas (organizzazione francese segreta) lo aveva minacciato e non si può escludere, tanto che si era alla vigilia di un contratto in Algeria con Ben Bellà. Il mandante italiano è facile immaginarlo, com’è facile immaginare una corrente democristiana non foraggiata a sufficienza”.





