Un centenario in grande stile quello celebrato in questi giorni dalla Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, coronato dal cinquantesimo ciclo di rappresentazioni classiche in scena al Teatro Greco fino al 22 giugno. I tre drammi dell’Orestea di Eschilo – Agamennone, Coefore e Eumenidi – insieme a Vespe, la commedia di Aristofane, stanno riempiendo ogni posto della cavea, riscuotendo l’apprezzamento del pubblico e la soddisfazione della Fondazione.
Nonostante sia indubbio lo sforzo dell’Inda per la divulgazione della cultura classica, con diverse iniziative complementari agli spettacoli, tra cui convegni, mostre e incontri – da non perdere il 13 giugno la lectio magistralis di Massimo Cacciari su “colpa e giustizia” – la messinscena dei drammi, purtroppo, non riesce ad essere all’altezza dei titoli che rappresenta.
Del dittico Coefore-Eumenidi, firmato dalla regia di Daniele Salvo, allievo di Ronconi, si apprezza la lucida organizzazione dello spazio e, in parte, la rituale gestualità del coro delle Coefore, essenziale, elegante e in qualche modo “originario”. Il resto, purtroppo, è ridondante eccesso che poco ha a che vedere con la forza evocativa del testo eschileo. Se l’anima profonda e scatenante del dramma antico risiede nell’ebbrezza dionisiaca della musica, qui – come spesso avviene – la stessa diventa trionfo dell’artificio. Il coro che canta in playback le musiche da kolossal di Marco Podda è quanto di più lontano possa esserci dallo spirito della tragedia greca, nonostante le ieratiche scenografie di Arnaldo Pomodoro. Dispiace vedere tutto questo proprio nel luogo un tempo deputato a rappresentazioni sacre, oggi diventato più vetrina mondana e modaiola.
Il piglio recitativo, inoltre, è appiattito da una vocalità affettata e gridata fino all’eccesso. L’Oreste di Francesco Scianna si distingue dagli altri, almeno, per un tentativo di contenere più che di esplodere; l’Elettra di Francesca Ciocchetti va, invece, nella direzione opposta e la sua rabbia disperata si disperde in grida che poco si avvicinano al dolore autentico. Pochi ricordi lasciano le interpretazioni di Elisabetta Pozzi (Clitemnestra) e Graziano Piazza (Egisto), ruvida e spigolosa l’Atena di Piera Degli Esposti, accademica la Profetessa di Paola Gassman, mentre certamente più intenso l’Apollo di Ugo Pagliai, costretto a volteggiare su una macchina scenica che, se ce ne fosse bisogno, svela ancor di più la finzione con i macchinisti a vista.
Il tradimento dello spirito greco raggiunge il climax nella scena del matricidio di Oreste. Prima con l’apparizione del cadavere di Egisto, imbrattato di vernice rossa d’effetto posticcio, poi con Oreste, anch’esso macchiato di sangue, che sgozza Clitemnestra davanti al pubblico. Se il teatro – e ancor di più il dramma antico – è “vera finzione”, qui di vero non è rimasto nulla: Oreste uccide la madre con un gesto talmente finto e plateale da lasciare indifferenti. L’orrore, che in Eschilo è sempre “nascosto” e per questo ancora più violento, è smascherato e sbattuto in faccia al pubblico, che accetta di farsi ingannare consolato dall’innocua finzione della rappresentazione. Sulla stessa scia, l’improbabile coro delle Erinni, nelle Eumenidi. Le divinità ctonie sono rappresentate più come grottesche caricature da festa in maschera che come autentiche portatrici di ancestrale terrore. Per non parlare poi dell’uso esasperato del microfono che appiattisce le voci, distruggendo i singoli caratteri che compongono il coro.
La musica non cambia nelle Vespe di Aristofane, con la regia di Mauro Avogadro. La messinscena della commedia, scelta per completare, ribaltandolo, il discorso sulla giustizia aperto col processo ad Oreste, nelle Eumenidi, appare fiacca e lenta. Tanti, troppi i riferimenti ad una certa comicità televisiva che raggiungono l’apice nei siparietti della Banda Osiris, i cui fiati “punzecchiano” musicalmente l’azione. Fin troppo gigione e rilassato il protagonista Antonello Fassari, nei panni di Filocleone; più convincente, invece, Martino D’Amico nel ruolo di Bdelicleone. Fastidiose e prevedibili le frequenti citazioni musicali, da “Parole, parole” di Mina e Lupo, a “Money” da Cabaret, da “Lascia ch’io pianga” di Händel all’aria di Puccini “O mio babbino caro”, interpretate dal siracusano Adonai Mamo. Come fiacchi e senza mordente appaiono i riferimenti scontati alla politica di casa nostra: dalla riforma della giustizia ai vizi e vezzi berlusconiani. Non bastano gli ammiccanti ingressi in scena di una sidecar con Vespa blu o di un’Ape Piaggio a ravvivare lo spettacolo. Se mancano ritmo e idee forti, tutto crolla e le risate cedono il posto agli sbadigli.
(Foto: Giulio Giallombardo - © riproduzione riservata)- Coefore – coro
- Coefore – coro
- Coefore – coro
- Francesca Ciocchetti (Elettra)
- Francesco Scianna (Oreste)
- Coefore – coro
- Graziano Piazza (Egisto)
- Elisabetta Pozzi (Clitemnestra)
- Piera Degli Esposti (Atena)
- Ugo Pagliai (Apollo)
- Paola Gassman (Profetessa)
- Coro delle Erinni – Eumenidi
- Coro delle Erinni – Eumenidi
- Scena di “Vespe”
- Banda Osiris – Vespe
- Antonello Fassari (Filocleone) in “Vespe”
- Sergio Mancinelli, Antonello Fassari e Enzo Curcurù in “Vespe”
- Scena e coro in “Vespe”





























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