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La guerra nello Sri Lanka
Un conflitto "invisibile" che dura da trent'anni

di Giulio Giallombardo
16 febbraio 2009
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Non è mai facile parlare di guerra. Il rischio che si corre è sempre alto: si ha la sensazione di fare torto a qualcuno a colpi di retorica, dispensando buoni propositi, condanne o perle di saggezza, mentre, da qualche parte, qualcun'altro viene massacrato dalle bombe o dagli attacchi kamikaze. Ma, nonostante questo, c'è un fatto amaro da mettere in evidenza: ci sono conflitti “mediatici”, ovvero, di cui si parla, altri “dimenticati”, ovvero, di cui non si parla affatto. Al primo gruppo appartengono tutte le guerre violentate dalla stampa e dalla televisione, in cui i morti si contano come fossero punti premio raccolti da chi partecipa ad una competizione; del secondo gruppo, invece, fanno parte i conflitti “trasparenti”, quelli che si combattono da decenni, ma di cui quasi nessuno s'accorge.

 

A questo proposito, probabilmente non sarà noto a tutti che lo scorso 6 febbraio a Roma, a piazza Farnese, c'è stata una manifestazione per protestare contro il genocidio del popolo tamil nello Sri Lanka. È scesa in piazza l'intera comunità tamil che risiede in Italia, una delle più coese e pacifiche che abitano nel nostro territorio. La causa scatenante che ha spinto un intero popolo a scendere in piazza è da ricercare nell'acuirsi del conflitto che da tre decenni afflige lo Sri Lanka. Una guerra senza tregua combattuta dalle due principali etnie che abitano l'isola: la maggioranza cingalese, di religione buddista, e la minoranza tamil, in parte induista e in parte cristiana.

 

I due popoli si dividono il territorio con due regni separati, anzi tre, per l'esattezza: uno per i tamil, nel Nordest del paese, due per i cingalesi. Storicamente i regni furono separati fino alla fine del Settecento, quando i britannici colonizzarono l'isola: per governare meglio  il territorio i colonizzatori raggrupparono i regni in uno solo. Una delle cause principali della tensione tra le due etnie è rintracciabile, però, solo alla fine del dominio britannico, nel 1948, quando il governo dell'isola fu consegnato alla maggioranza cingalese. L'indipendenza portò ad un progressivo isolamento del popolo tamil che subì e subisce ancora pesanti dicriminazioni. Gli inglesi, per tutelare i diritti della minoranza, promulgarono la costituzione Solbury, che però venne abrogata dal governo dello Sri Lanka nel 1972, quando fu introdotta la nuova costituzione, poi modificata nel 1978. Il conflitto etnico che si consuma da circa trent'anni è costato la vita a più di 65.000 persone.

 

La guerra si combatte tra il governo dello Sri Lanka a maggioranza cingalese e il fronte radicale delle Tigri per la Liberazione dell'Eelam Tamil (Ltte), che mira a creare uno stato autonomo, ma come sempre, in mezzo ai due “fuochi”, vengono sterminati i civili innocenti, per lo più appartenenti alla stessa comunita tamil.

 

Secondo quanto riferisce l'Osservatorio sui diritti umani in Sri Lanka, la minoranza tamil è stata dicriminata ripetutamente attraverso leggi liberticide. Il cingalese è l'unica lingua ufficiale, ai tamil non è concesso lavorare nel governo o in associazioni senza la conoscenza della lingua ufficiale. Anche per l'accesso alle università viene adottata la politica dei “due pesi e due misure”: i cingalesi entrano all'università con un punteggio minimo d'ingresso inferiore rispetto a quello previsto per i tamil. Un documento dello stesso rapporto riferisce di “uccisioni extragiudiziali” commesse dai militari del governo, che massacrano civili inermi senza distizione alcuna di età o sesso, soltanto perché appartenenti alla minoranza tamil: si parla, addirittura, di un vero e proprio genocidio. Vengono denunciati anche omicidi politici e di rappresentanti della stampa, per non parlare dei frequenti rapimenti che avvengono in alcune zone controllate dall'esercito: noto è il fenomeno dei “furgoni bianchi”, senza targa, che non vengono fermati ai check point pur essendo carichi di gente armata fino ai denti.

 

Proprio in queste ultime settimane il conflitto ha raggiunto una tensione altissima. Il governo di Colombo ha chiuso la porta ad ogni ipotesi di negoziato con le Tigri Tamil, come invece auspicato da Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Norvegia. L'esercito dello Sri Lanka sembra pronto a prendere il controllo di tutta l'isola, come afferma il presidente cingalese, Mahinda Rajapaksa. I militari  hanno conquistato anche la residenza del capo storico delle Tigri Tamil, Velupillai Prabhakaran, e ora, secondo fonti di stampa di Colombo, sarebbero pronti a sferrare l'attacco finale all'ultimo bastione dei ribelli.

 

L'esercito governativo sta, infatti, avanzando nelle zone controllate dalle Tigri, principalmente nel Nordest dello Sri Lanka, dove sangue si aggiunge a sangue: fonti governative fanno sapere che migliaia di civili cingalesi stanno lasciando i territori sotto il controllo dei ribelli tamil ed alcuni di loro sarebbero stati uccisi a causa degli attacchi kamikaze delle Tigri.

 

La speranza, come spesso accade nei fatti di guerra, è che gli appelli al cessate il fuoco vengano ascoltati. Benedetto XVI ha parlato apertamente alle opposte fazioni che combattono nello Sri Lanka “perché rispettino il diritto umanitario e la libertà di movimento della popolazione, facciano il possibile per garantire l'assistenza ai feriti e ai civili e consentano il soddisfacimento delle loro urgenti necessità alimentari e mediche''. Anche il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, che ha incontrato recentemente a Palermo una delegazione della comunità siciliana dei tamil, ha espresso la sua "più profonda solidarietà". "Interverrò - ha dichiarato - con tutti i mezzi a mia disposizione per far giungere in ogni sede la vostra voce e le vostre richieste”.

 

Nonostante tutto, la guerra civile nello Sri Lanka continua ad essere “invisibile”. I giornali ne parlano poco o niente, la televisione ha altro a cui pensare, la radio è più attenta ma non abbastanza. Una cosa è certa: se i media e la stampa dedicassero più spazio a questo tragico conflitto trentennale, se aprissero una finestra su questo mondo misconosciuto, l'opinione pubblica sarebbe probabilmente più consapevole e critica. Ma forse è chiedere troppo. Del resto, si sa, i fatti che contano, quelli “veri”, sono sempre altrove.  

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