Il 2012, annus horribilis per l’economia mondiale, è alle nostre spalle e si discute delle prospettive di quello nuovo.
La discussione però, appare viziata da un approccio ristretto, che non sembra toccare il cuore del problema: il crollo della finanza planetaria, paradigma della globalizzazione senza regole che ha provocato drammatici fenomeni di secessione sociale in tutti gli Stati, dipende non solo dal prevalere dell’economia virtuale rispetto a quella reale, fondata sulla produzione e sul lavoro, ma, in primo luogo, dalla subalternità della democrazia rispetto al capitalismo.
Il rapporto tra capitalismo e democrazia è stato e sarà sempre conflittuale ebbe a scrivere Norberto Bobbio, e il prevalere del primo sul secondo ha provocato, alla lunga, i guasti sociali ed economici che stiamo vivendo e che non sappiano ancora dove ci condurranno.
Negli anni che vanno dal crollo del Muro di Berlino ad oggi, abbiamo assistito, quasi impotenti, con il sostegno non solo della cultura politica ferma al vecchio liberal-liberismo dello “Stato minimo”, ma anche di certa sinistra riformista, alla “privatizzazione della politica”, con il denaro trasformato in valore assoluto e i partiti in pratica sostituiti dai tecnici dell’economia e del diritto, nel mentre la cosiddetta “classe dirigente” mondiale è stata sostanzialmente omologata: tutti i dirigenti dicono e sostengono le stesse idee e proposte all’insegna dell’idola tribus del mercato, espressione di costose macchine di potere e di comunicazione di massa.
Come profeticamente, all’alba di questo XXI secolo, ebbe a scrivere lo storico Eric Hobsbawm “politica, partiti, giornali, organizzazioni, assemblee rappresentative, Stati: niente più funziona nel modo in cui funzionava e si supponeva avrebbe ancora funzionato a lungo”.
E allora, per uscire dalla drammatica crisi globale non bastano solo le ricette economiche e sociali, ma serve, in primo luogo, la restituzione alla democrazia del ruolo fondamentale che deve avere nelle nostre società moderne.
Già, perché rispetto agli albori del capitalismo industriale nell’800 la dicotomia non è tra una società liberale ed una socialista, ma tra la democrazia e l’oligarchia, tra il benessere collettivo e la tirannia economica di pochi. In questa prospettiva è opportuno ricordare l’elaborazione teorica di un grande sociologo riformatore come T.H. Marshall nel dopoguerra, che ha consentito la declinazione dei diritti sociali in termini di cittadinanza e, quindi, di democrazia e partecipazione popolare.











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